“Come andarsene in pace e senza dolore? No, non senza ferita nell'anima lascerò questa città. Lunghi sono stati i giorni di sofferenza consumati tra le sue mura, lunghe le notti di solitudine; e chi può senza rimpianto lasciare il suo dolore e la sua solitudine? Troppi frammenti dello spirito ho disseminato in queste strade, troppi figli del mio desiderio vanno nudi tra queste colline, e io non posso allontanarmi da loro senza peso e dolore. Non è una veste che oggi io mi tolgo, ma una pelle che strappo con le mie stesse mani. Non è un pensiero che io lascio dietro a me, ma un cuore reso dolce da fame e sete. E tuttavia non posso trattenermi più a lungo. Il mare che chiama a sé ogni cosa mi chiama, e io devo imbarcarmi. Poiché se resto, nonostante brucino le ore della notte, io sarò ghiaccio e cristallo, costretto in uno stampo. Vorrei portare con me ogni cosa che è qui. Ma come potrò? Una voce non può portare con se la lingua e le labbra che le hanno dato le ali. Sola dovrà approdare al cielo. E sola e senza nido l'aquila volerà attraverso il sole….”
(Il Profeta; Kahlil Gibran)
Alla fine il gioco si rilevato; alla fine l’identità è stata scoperta. Ma qual è l’identità rilevata? Non sempre, anzi quasi mai, ciò che appare “è” e ciò che “è” appare. Si è rilevato Rutebeuf o si è rilevato Massimo? Chi è chi?
Attraverso il gioco il bimbo apprende le regole della vita, il gioco è il primo confronto con l’altro, il momento in cui la fantasia diventa realtà e la realtà diventa fantasia. Ricordate la vostra infanzia quando con un nulla si costruivano mondi fantastici? Quei mondi fantastici in quel momento erano reali, tangibili, concreti, forse lo erano e forse lo sono ancora. Se guardate attentamente, se vi fermate un attimo, se ascoltate oltre il brusio continuo della quotidianità, vedrete quei mondi apparire in tutta la loro incantevole bellezza: sono ancora li e sono unici perché sono i vostri mondi, li avete creati voi, sono parte della vostra essenza.
Delle volte, purtroppo assai raramente, sul campo da golf avviene una cosa particolare: mi coglie un senso di pace, di tranquillità, non penso a nulla, mi approccio alla palla e esce un colpo perfetto. Senza fatica, senza tensione, la palla descrive un arco nel cielo e si posa li dove desideravo arrivasse. In quei rari momenti torno bambino e ritrovo il mio mondo fantastico.
Rutebeuf è stato un bel gioco, ma deve partire. La nave è pronta, l’equipaggio attende il segnale, l’aria frizzante del mattino è carica di elettricità, i gabbiani lanciano il loro verso acuto eccitati e pronti ad accompagnare per un tratto la navigazione. La vita è come il mare e noi siamo come le navi che lo solcano. Viaggiando da un porto all’altro delle volte ci incrociamo e percorriamo un tratto insieme ed è gioia è felicità. Poi, la nostra rotta diverge e ci lasciamo solchiamo altri mari dove incontreremo altri marinai ma il mare ci rende uniti per sempre. Anche quando nella tempesta accade che qualcuno non arrivi più al porto, nonostante il dolore infinito che ciò provoca, ci consola il fatto di aver condiviso la navigazione e aver gioito e pianto assieme e anche se lo sguardo per alcuni attimi si smarrisce nel non trovare più gli occhi dell’amico, del fratello, dell’amato, e la lacerazione è profonda, il mare ci chiama e la navigazione deve proseguire.
Molte volte Rutebeuf ha parlato citando personaggi mitologici, non era solo un vezzo, un escamotage, lo ha fatto perché è certo che “i miti rivelano l'ordine profondo che regola la vita e la morte, i successi e le sconfitte, l'estate e l'inverno, tutto ciò che è accaduto e che accadrà” (fonte wikipedia).
Per cui continuate valchirie, proseguite fieri cavalieri erranti, affrontate le sfide sul campo da golf e godete dell’ebrezza della vittoria quando arriva, non disperate quanto la divinità porgerà la chioma all’altrui, ricordate che essa è volitiva e il suo sguardo è sempre pronto a posarsi su di voi.