L’ansia da prestazione consiste nel timore e nella preoccupazione, eccessivi e sproporzionati, per una situazione futura in cui è richiesta una determinata performance.

Il soggetto anticipa tale situazione prefigurandosi esiti catastrofici: teme di essere valutato negativamente, di risultare impacciato e inadeguato e di fallire.

Sintomi quali stress, irritabilità e insonnia tendono ad aumentare in prossimità della ‘prova’.

L’ansia da prestazione è un fenomeno assai diffuso, soprattutto tra le persone di sesso maschile… 

Anche nel nostro mondo, quello del golf, la casistica si presenta alquanto ricca.

Non a caso sta prendendo sempre più piede la figura del ‘mental coach’.

Se chiedi agli sportivi che hanno ottenuto grandi risultati ti diranno che, a parità di preparazione tecnica e fisica, a far la differenza è stato l’allenamento mentale.  La nostra mente ha una serie di potenzialità che, se sviluppate, allenate e interiorizzate, possono portarci molto in alto. Edificante è la storia del colonnello americano George Hall, abile golfista. Dopo essere stato prigioniero in Vietnam per ben cinque anni in condizioni precarie, per evitare un crollo psicologico, iniziò a giocare a golf nella sua mente, ogni giorno, sul suo campo preferito. Vedeva le buche, gli ostacoli e perfino i ciuffi d’erba, immaginando di giocare alla perfezione e vincendo ogni volta. Tornato in America, alla fine della guerra, andò a giocare con alcuni amici in quello stesso campo su cui aveva disputato molti giri nella sua testa, ogni giorno, per cinque anni. Con lo stupore di tutti, giocò allo stesso alto livello di cinque anni prima, come se non avesse mai smesso. Come ha fatto George a giocare così bene? Il suo fisico era debilitato e non aveva più la prestanza di quando giocava da professionista. Eppure, in questo caso, l’allenamento mentale fatto con una visualizzazione dettagliata e prolungata, ha portato a ottenere un risultato stupefacente. È così che funziona il nostro cervello.

Sono tanti gli assi del golf caduti in questa trappola spietata: Tiger Woods, Tommy Armour, Ben Hogan, Sam Snead, Henrik Stenson, Bernhard Langer, Kevin Na, Tom Watson, solo per ricordarne i più famosi. Qualcuno addirittura è arrivato fino al ritiro, altri sono successivamente riusciti anche a vincere i Major più importanti. 

Invero anche alcuni fuoriclasse della Chena-Cup non sono usciti indenni da questa infida patologia.

Tiger Cozzi Woods ne è oggi il caso più eclatante.

Stiamo tutti chiedendoci come mai un omone di quasi 220 libre, dopo aver dato letteralmente spettacolo per tutta la durata della terza edizione del torneo, annichilendo qualunque avversario, non riesca più a trovare le ampie rotazioni che lo hanno reso famoso e la precisone del colpo preferito, il suo, un tempo, infallibile chipper.

Che dire? Certamente, come successe al suo omonimo e meno illustre Tiger, non risulta alcuna lite furibonda con la moglie che lo inseguiva con una mazza da golf per una sua presunta infedeltà, fracassandogli vetri e portiere del lussuoso Suv, ancora luccicante di fresco (attento Fulvio, hai appena ritirato la macchina nuova… ).

E neppure gli si augura la crisi che ha travolto per oltre quattro anni Henrik Stenson, incapace di superare qualsivoglia taglio per quel lungo periodo dopo aver vinto di tutto in Europa ed in America.

Non risulta che si sia dato all’alcool (la sua massima espressione in proposito è rappresentata da una birra media a mezzodì) e neppure l’assidua frequentazione in cart in tutti i week-end dell’anno con l’amico Serghio ha mai dato adito ad alcuna malalingua.

Ed allora?

Che esista una maledizione senza perdono, la peggior forma di magia oscura, per chi ha la ventura (o sventura?) di vincere una edizione della Chena-Cup?

Accadde a Severiano Blanco, che fu costretto da mali tenebrosi a ritirarsi dal torneo dopo un duplice trionfo, e sembra colpire ora il Tiger nostrano.

Solo il tempo saprà darci una risposta.

Per ora, dal libro dei morti degli antichi egizi, consegno a Tiger questa formula magica, da ripetere tre volte prima di ogni swing: “Tu hai potere sui poteri che sono in te”.

A fine gara, dovresti averla recitata più o meno 300 volte.

Vai tranquillo, se avrai vinto, vuol dire che ha funzionato. In caso contrario, insisti anche la volta successiva: vedrai, prima o poi la vittoria tornerà nuovamente ad abbracciarti!