(a cura di Phill Money)
UNA COPPA. La storia della coppa Jules Rimet inizia ad Amsterdam il 29 maggio 1928. Il trofeo alato è destinato alla nazionale di calcio che vincerà per tre volte il campionato mondiale. Il peso complessivo è di 3800 grammi, di cui 1800 grammi in argento "sterling" placcato d’oro. L'altezza del trofeo è di 30 centimetri. Tutto fila liscio fino al marzo del 1966 quando la Coppa va in Inghilterra dove si giocheranno i prossimi Mondiali. Prima dell’evento si organizza una mostra di francobolli sportivi al Westminster Central Hall e si decide di mostrare anche la Rimet, che il 20 marzo viene rubata. Passano giorni di interrogatori e ansia fino all’arrivo di Pickles, un cane simpatico e curioso che annusa qualcosa di strano sotto una siepe in un giardino della periferia di Londra. È proprio la Coppa, che Bobby Moore poi il 30 luglio 1966 riceverà dalle mani della regina Elisabetta II a Wembley. Arriviamo al 19 dicembre 1983. Nella sede della Confederazione Brasiliana di calcio, Sergio Pereira Ayres detto Peralta, José Luis Rivera, detto Luiz Bigode, e Francisco José Rocha, detto Chico Barbudo entrano e rubano ancora una volta la Rimet. Questa volta vanno poco per il sottile. In poco più di 7 ore la fondono per farne lingotti d’oro. La vendita gli frutta 15.500 dollari.Quel giorno muore l’oggetto ma non il mito. L’oggetto, e il mito, rinascono il 21 luglio 2018. La location non è un mega-hotel di Amsterdam, bensì il pluri-stellato ristorante del Giardino di Lainate-city. Il trofeo in palio pesa poco più di 700 grammi, è in acciaio inox superior quality, il valore in moneta sonante secondo la stima del mercato dei diamanti di Anversa non raggiunge i 70 dollari. Ma se il pregio di un oggetto non è rappresentato tanto dai soldoni, quanto dal valore simbolico, chi sono quei semi-sconosciuti di Pelè, Bobby Moore, Zoff, Maradona che sollevarono la Coppa Rimet a confronto dei nostri inarrivabili Severiano, Tiger, Mary-Jacky, Miguelito e Ross? E come era successo per la Coppa Rimet, anche per il nostro trofeo si temette, forse un po' affrettatamente, la scomparsa. Fortuna volle che un anonimo cartone, lasciato sul bancone della segreteria del circolo di casa, risolvesse ogni più o meno giustificato sospetto. La coppa era tornata a casa! Del resto, malignavano i più ‘cattivi’, costava di più fondere la coppa rispetto a quanto si sarebbe potuto ricavare vendendone l’acciaio fuso!
UN MENU. ‘Nouvelle cuisine’ è un’espressione coniata alla metà degli anni Sessanta del Novecento da alcuni cuochi e gastronomi francesi per indicare un modo di cucinare che, rinunciando ai piatti della grande cucina tradizionale e alle salse più elaborate, vuole offrire cibi leggeri, con abbondanza di verdure fresche, realizzati con particolari accorgimenti. Un’ulteriore caratteristica che contraddistingue la nouvelle cuisine è la calcolata quantità di cibo, sempre per difetto, offerta in ogni piatto, quasi a voler significare che la massima qualità non potrà mai essere abbinata a porzioni generose. Scompaiono così alcuni simboli che avevano contraddistinto da sempre i menù tradizionali, come s.q. (secondo quantità) e q.b. (quanto basta). A far da contraltare a questo nuovo corso, si erge a capostipite il già citato Ristorante Giardino del Golf, che da questo sabato ha introdotto l’acronimo, in puro dialetto locala, q.a.s., cioè ‘quantità a sproposit’. Oggi si sono lanciati sui piatti q.a.s., a guisa di lupi famelici, ben cinque dei ‘nostri’. Tiger si è buttato sulle tagliatelle ai funghi porcini, Mary e Phill su pasta pomodoro zucchine lenticchie e piselli, Dany e Miguelito su polenta e gorgonzola.
...non ce la facco piu...
Passi che Mary, Dany, Miguelito e Phill non siano riusciti a terminare le loro abbondanti pietanze, ma il fatto che Tiger il gigante si sia ritirato esausto a metà porzione non può che rappresentare il titolo di testa, a nove colonne, de ‘La Cucina italiana’ del prossimo mese.LA NEBBIA. Oggi, alla partenza della maggior parte delle buche, non oserei scrivere ‘vedere’, ma soltanto ‘immaginare’ dove fosse la bandiera era davvero un’impresa. Il pensiero non poteva che correre al grandissimo Bobby, l’uomo delle palline che scomparivano anche nelle giornate più limpide che nemmeno l’Omino Bianco avrebbe potuto pulire meglio… Ovvio che i lunghi tempi di attesa tra una buca e l’altra non potevano che essere attributi ai suoi colpi. Alla fitta nebbia novembrina, Milàn l’è semper Milàn, si aggiungeva un freddo pungente e per diversi giocatori il desiderio che la gara terminasse al più presto superava di gran lunga l’obiettivo di un buon risultato.In questo clima difficile, non potevano che emergere gli uomini (ovviamente anche le donne…) veri. La classifica parla chiaro: Talla (21) e Miguelito (20) sono emersi su tutti, mentre Paulita ha fatto ricchi tutti coloro che hanno puntato su di lei sul podio, con un clamoroso 17 punti. Discreti Dany e Tiger (15) e Shane (13). Scomparsi ed immersi nella fitta nebbia Phill (11), Alex (10), Bobby e Mary (9). A Rory, con merito, il titolo di campione d’inverno. Sarebbe inoltre interessante, a puro titolo statistico, conoscere quanti campioni d’inverno hanno poi vinto la coppa. Ma questo conteggio deve essere lasciato al nostro informatico per antonomasia, Shane Maximilian. A riscaldare il gruppo, a consolare gli afflitti e ad esaltare a vincitori hanno infine contribuito gli amaretti di Gallarate della pasticceria Pagani, gentilmente offerti da Mary Jachy, da consumarsi rigorosamente in numero dispari.
Sarà marzo, il mese pazzerello, a segnare la ripresa della nostra coppa.